Teresa (ovvero la dolorosa smorfia)

 

Teresa, una tomboliera, in un gabbiotto povero, pareti in vetroresina per separarla dal puzzo di sudore, muffa e chiuso della sala. In sala c’erano più persone che sedie ma questo non le importava e agitava, sbatteva, percuoteva quel paniere ed ecco il prescelto:

70! <Il palazzo!>

gridava qualcuno dopo che la voce di Teresa, partita dal dozzinale microfono a condensatore nel gabbiotto e diffusa dagli altoparlanti, riempisse l’aere. Dozzinali anche gli arredi dello stanzone, di questo palazzo. Il palazzo sta in ‘sto quartiere de Roma in realtà manco molto fuori mano, siamo ancora all’interno "der Raccordo" e per ‘sto motivo i romani considerano ‘sto posto, ‘sto palazzone, squallido e con diverse primavere sul groppone (peraltro portate malissimo) un posto punto centrale e di riferimento, quantomeno per quei miserabili dediti al gioco che erano soliti frequentarlo. Bingo Romano c’era scritto sull’insegna che, manco a dirlo, era martorizzata dal tempo anch’ella e, se ci aggiungiamo che ogni tanto qualche perdente sodomizzato dalla “Dea Bendata” si lasciava sovente prender la mano e perdendo la testa lapidava suddetta insegna con i sanpietrini sollevati presi in prestito dalla immediatamente vicina strada sfasciata, ne risultava che alcuni neon si mostrassero fulminati, spenti per sempre (come per altro le speranze dei ludopatici assidui frequentatori del posto) e di fatto, da "Bingo Romano" a “Bingo -Ano” è veramente un attimo e in un attimo ancora più attimo erano le battute, squallide anch’esse.

19! Mo’ a uscire era lui, <la risata>

Sì, perché quella battuta era sempre la stessa, ma a quelli che erano ogni sera già lì ad aspettare Teresa da fuori la serranda e che ingannavano il tempo tra risa e schiamazzi a piena notte, ecco che <Bingo Ano che ce lo mette ne’...> provoca sempre ilarità perché quando a uscire è 45 <il vino> quelli cacciati da casa dalle mogli sono già <l’ubriaco>, 14!

Tra ‘ste risa e ‘sti schiamazzi poi arrivava Teresa, apriva le gabbie e questi entravano, erano quelli che venivano per primi e erano sempre più o meno gli stessi, quelli che o li cacciavano le mogli o avevano a casa altri fattacci personali ma che poi di personale alla fin fine c’era ben poco perché tanto si era sempre gli stessi e ci si conosceva tutti come una famiglia e tutti poi, de contro, conoscevano Teresa e i suoi guai. Tutti erano miserabili, tutti distrutti, ma non vi era parola che uscisse dalla bocca di alcuno quale contenesse, seppur in minima parte, una qualche parvenza, neanche vaga, di giudizio. Essì perché là, forse come da nessun’altra parte, in quel luogo, persino il re è nudo. Il mondo qualche volta è ironico, lì dove l’uomo sembra aver raggiunto un punto di non ritorno nelle mani di chi, per esempio, mette sul banco chiavi della macchina, buoni postali che avrebbero dovuto pagare una qualche sorta di studio o progetto per i figli, lì in quel luogo eri sicuro che di prediche non ne avresti ricevute. Se fosse una sorta di solidarietà che può avere verso di te solo chi come te il vuoto ha misurato, almeno una volta nella vita, piuttosto che la consapevolezza in ognuno di questi personaggi di non essere nella posizione giusta per scagliare la prima pietra o solamente un patto non scritto e non siglato da alcun notaio, ma non per questo non seguito, cui vietasse alcun tipo di giudizio o opinione questo è difficile saperlo e di certo non lo sa, o forse non le interessa manco, Teresa. Teresa aveva anche lei una casa. Una famiglia.

52! <LA MAMMA!> e qualcuno già gridava a squarciagola al terno manco il tempo de fa’ fini’ a Teresa di pronunciare il numero. Teresa era una mamma, 9! <la figliata!> quella sua ne contava ben tre, c’era Giulia, 78 <La bella figliola!> e subito uno, con un altro grido: terno! ma era solo Gianfra’ <lo scemo> 23, quello non capisce mai niente e intanto ancora nessuna quaterna. Ma, comunque, ve stavo raccontando di Giulia, la bella figliola, la primogenita di Teresa, Giulia o Juliette come qualcuno non solo tra gli amici la chiamava, era veramente una bella figliola! Diciott’anni appena de donna ma che ne vuoi sapere che lei non sa già da prima di te, ma Teresa sembrava sempre non preoccuparsene, alla fine a stare in mezzo a certi soggetti ogni notte a lavorare con la malattia del gioco di taluni che si giocavano persino le mutande, il fatto che ora sua figlia il conto lo avesse perso già da un pezzo le sembrava una banalità, alla fine so’ ragazzi e i tempi non sono più quelli de ‘na volta! Poi a me importa che è “la crema” dei figli, la matura che ti da una mano a casa e a guardare i fratellini più piccoli quando la madre è fuori a lavorare come fosse l’uomo e marito di casa per portare in tavola la pagnotta e, Juliette, come la donna e la moglie di casa, a tenere caldo e accogliente e sicuro il nido.

13! <Sant’Antonio!>

E finalmente è <quaterna!> stavolta vera, a urlare è proprio Tonio! Che non si sbaglia mai in genere, specie se poi è “er numero mio” come lui lo chiamava. Antonio poi era anche il nome del "mezzano" di Teresa, chiamato così per volere del <padre dei bambini!> 29! Ma ancora nessuna cinquina ad ora. Era in onore del suocero, qualora di onori ne avesse mai veramente meritati, soprattutto quando <la femmena annura!> 21, allontanò dal letto coniugale il figlio e, lui, dito non mosse per i nipoti sennò quello indice accusatorio, scuotendolo nell’aria a catechizzar la povera Teresa accusandola di esser lei stessa la causa dell’addio di Michelone (questo era il suo nome). E nel mentre, nonostante di numeri ne stessero uscendo e di numeri ne stessimo facendo, la cinquina ancora latitava, così come del resto Michelone, il suocero e, si venne a sapere per vie traverse anche grazie a quei clienti del bingo, che pure la femmena annura, morto il suocero e finiti i soldi, abbia poi preso un tovagliolo bianco e dal finestrino di un treno sventolatolo in direzione di Michelone. E Michelone, forse per pudore, forse vergogna, forse per non ammetter la sconfitta, non avrebbe più fatto ritorno al nido e, tornando al mezzano Antonio, pare che il pargolo arrivato ormai in età adolescenziale, ne abbia assai risentito. Non parlava mai di ragazze neanche con l’esperta sorella e né tantomeno pareva avere amici.

26! <Nanninella!>

Era il suo turno adesso! La piccola Anna, la piccola della casa che ormai anche lei, però, si accingeva a lasciar l’età della fanciullezza per catapultarsi con violenza verso l’adolescenza. Lei però l’aveva quel rapporto più di confidenza con Juliette, forse anche perché Juliette le faceva da madre, surrogandosi a Teresa che, intendiamoci resta una tanto brava donna, ma che per pagar l’affitto è costretta tutte le notti in quello squallido gabbiotto di quel fatiscente stanzone in quello stanco palazzo. Dal canto suo poi Juliette sembrava anch’ella avere una predilezione per Nanninella, o almeno così sembrava a vedere da fuori, le pettinava i capelli biondi sempre con amore nonostante la piccola fosse totalmente autosufficiente e mentre lo faceva, erano entrambe in piedi fronte specchio all’ingresso, Teresa le poteva vedere serene parlare e talvolta sorridere, anche se il sorriso della piccola spesso pareva avere qualche sfumatura di imbarazzo e tutto ciò rendeva serena la Tomboliera seppur non fosse ancora riuscita a capire cosa si dicessero anche perché il tempo per origliar non v’era! C’era da aprire le gabbie ogni sera prima che 77! <i diavoli!> si inalberassero. Poi era tranquilla Teresa, Nanninella non pareva aver quei particolari grilli che per la testa aveva la sorella maggiore che, tra l’altro, aveva pure dato un soprannome alla piccola: Justine, che ancora Teresa non sa da dove provenisse né tantomeno il perché, probabilmente da qualche personaggio di un qualche romanzo che Juliette amava leggere.

E intanto la cinquina non voleva saltar fuori, sempre le stesse tragiche storie ogni notte! Anche perché gli orari non erano mai fissi! Se non si finisce una partita si va avanti fino a notte fonda e se necessario anche mattina inoltrata perché quelli non ti lasciano chiudere e tornare a casa con una partita in sospeso. Questo la figliata lo sapeva e lo sapeva Juliette che, se aperti gli occhi la mattina e della madre non vi fosse ancora l’ombra, non si preoccupava e da mamma preparava la lauta merenda ai fratelli, li svegliava e li mandava a scuola. Restata poi sola poteva dedicarsi alla casa e quando 31! <’o padron ‘e casa> suonava la porta per entrar a riscuoter la pigione, Juliette già sapeva che 46! <’e denare!> erano al solito posto. E come un copione scritto, trito, prevedibile, quello si sedeva e 42! <’o cafè!> già gli si materializzava davanti, Juliette lo teneva sempre pronto quando sapeva che fosse quello il giorno. Se ce volesse zucchero o no glielo chiedeva sempre anche se la risposta era sempre la stessa, <caffè dolce e donne amare, monelle’!> questo diceva e poi da solo rideva mentre Juliette con sguardo tra la pena e lo schifo guardava Quello senza sforzarsi di fingere manco il più misero e goffo tra i sorrisi miseri e goffi. Come sempre poi portava via la tazzina e il solito copione andava avanti, solita sigaretta di lui accesa a scandire il ritmo del suo solito sproloquio su quanto le tasse per chi ha le proprietà fossero alte. Parole, poi un tiro, poi altre parole e poi un altro tiro ancora. Nel mentre la di lui mano, che ormai già da un minuto toccava il ginocchio nudo da gonna di Juliette, andava risalendo via via sempre più. E ancora altri tiri a scandir le lamentele che le tasse erano alte e ,sto canone di allocazione che stava a offri’ loro manco in Africa più li pagano così bassi, e nel mentre aspirava, e nel mentre la mano saliva, poi a dire che capiva però le difficoltà, e poi che si sanno le voci che girano su Juliette, e 'sto solito copione di questo film ridicolo e sempre uguale andava avanti, e non solo quello.

<La mano>. 5!

Una mano, cinque dita, ogni singolo dito potrebbe esser lametta dal male che sa fare. Ed ognuna di queste lamette può lasciar cicatrici assai profonde e dolorose che, forse, mai si chiuderanno e qualora lo facessero resterebbero comunque sul corpo a confondersi tra i solchi lasciati dalle rughe e, come nelle rughe, dentro quelle, chi ti guarda ci si perde, o nella voglia di decifrarle o nel disperato tentativo di evitarne la vista. Cinque sono anche i numeri che devi metter in fila per poter gridar <Cinquina!> e stavolta è quella giusta, ci siamo! 37! <il monaco!> Andrea il sacerdote pare abbia allineato sulla stessa riga cinque numeri! Il timorato di Dio s’era portato a casa più de "due piotte"! Ma Teresa che duecento euro li vedeva forse a settimana era sempre impassibile, ormai abituata, per nulla invidiosa, l’invidia non le apparteneva o forse perché magari i soldi per pagarsi le cartelle erano quelli delle offerte e quindi cosa vuoi invidiare, o forse perché ormai Teresa poteva far “Apatia” di nome. Persino nel sesso, pare ne avesse scordato il desiderio, abbandonate speranza e voglia di raggiungerlo, così come l'altrui brama di lei fosse rimasto, negli amanti o potenziali tali, solo un ricordo di quei giorni quando nel suo viso le rughe non disegnavano labirinti in cui perdersi e per quanto non potessimo definire Teresa di certo di brutto aspetto e ancorché l’età non ingannasse il viso e le primavere che aveva le si potevano contare tutte, in realtà quel che più giocava in suo sfavore era proprio, per tornare a prima, la sua apatia nella vita che si potrebbe quasi definire come spersonalizzazione, ella pareva un robot e il sesso pareva averlo dimenticato proprio come concetto e con esso le sensazioni e le emozioni che ne potevano derivare. E se il sesso lo potremmo definire come la massima espressione di abbandono umano, si può comprendere come "a cascata" nulla poteva scalfir un cuore rivestito di alluminio anodizzato. Del resto, un robot non ha di ‘sti bisogni e non può comunque perder tempo e deve portar a compimento un compito.

15! <’o Guaglione!>

Sì, perché capiamoci, niente che possa scoraggiare un giovine e baldo uomo in tempesta ormonale e con la mente offuscata da "pornolibretti" quali pubblicizzano amori e desideri tanto fantasiosi quanto apparentemente impossibili o persino proibiti in qualche caso. Allora la corte era spietata. Prima di entrare, o dopo, o alla pausa o al giorno libero. E forse, più per un volersi sforzare di pensare per una volta a sé stessa, ma non perché credesse davvero potesse farla star bene, o più per questa corte da sfinimento, quella volta successe che ella cedette. Manco a dirlo fu la cosa più asettica e meno passionale tra le cose da essa stessa conosciute, ma non per questo non è vero che non vi fu, anche da parte sua, godimento. Diverso pare fu per il ragazzo che ora balzava di gioia e di certo non aveva remore nel raccontar poi anche i giorni successivi della sua impresa anche lì al Bingo, ma a Teresa manco importava perché tanto voci e pettegolezzi, lì, come nascevano poi cadevano perché quel che contava era solo fare tombola ormai, dopo la cinquina era rimasto giusto quello. Così come giusto una notte sola era stata per Teresa con il guaglione e che poi alla fine niente aveva cambiato neanche in minima parte per lei, continuava tediosa e macchinosa la sua vita, le sue giornate. 40! <la noia!> ma ancora nessuna tombola e dunque ancora nessuna emozione. Quanto al ragazzo, lui felice aveva messo un’altra bandierina ad un’atra delle sue fantasie, del resto, era un prestante ragazzo, quindi, è considerato pure normale, fin dall’alba dei tempi, che un maschio si debba comportare così! Anzi delle volte persino inevitabile e necessario! E allora può succedere che nel contesto di situazioni tristemente mediocri, o definite tali o tali immaginate, certe dinamiche sono considerate normali o persino cercate e in un certo senso dovute, da chi da fuori e dall’alto dei costosi SUV ti guarda passando sfrecciando per quel vicoletto dove vi è il palazzo del bingo, anzi, senza forse nemmeno interessarsene di queste dinamiche.

Così come non importa, ai SUV, di sapere perché nonostante sedicenti tassazioni sempre più alte, qualche lamentoso padrone di casa mantenga comunque basso l’affitto. Non interessa neanche quali danni possano fare alienazione, degrado e passiva accettazione o se il dovere, qualunque esso sia, finisca per eclissare completamente il piacere riducendo persone a robot che, poi anche nel tentativo di abbandono più supremo, quello sessuale, falliscono miseramente domandandosi se forse non abbiano definitivamente dimenticato come si fa ad essere felici e che della vita si può anche goderne. Non importa neanche quanto male possa fare la sensazione di impotenza che porta certe misere genti a pensare come non vi possa esser una qualche via d’uscita. Non a tutti è concesso e, quei SUV, sembrano sfrecciare dinnanzi all’ingresso di quel Bingo perché, in un senso a metà tra il metaforico ed il reale, desiderano lasciarsi alle spalle tutta la bruttura di questa dolorosa Smorfia. Non tutti i SUV poi sono uguali, qualcuno lo fa per la paura di contagiarsi con la miseria di Quelli come fosse quasi un virus, qualcuno lo fa per paura ignorante che Quelli volessero derubarli, qualcun altro invece semplicemente perché, sentendosi struzzo, se un problema non lo vedo allora non esiste, è menzogna, è romanzo, qualcosa per vendere libri o serie tv. Meglio non vedere, non domandarselo, non porsi quesiti di alcun genere. Prendere coscienza di una situazione vuol dire anche agire per cercare di risolverla, e risolvere implica tempo e attenzioni e cura e lavoro, e se non siamo legalmente noi obbligati per legge a risolverli, vi è un’altra legge, questa volta non scritta, alla quale siamo però nostro malgrado costretti a rispondere ed è quella che muove la coscienza. E allora preferiamo non vedere, perché confrontarsi con quella può far paura, 90!

<tombola!> grida Ercolino! Finalmente può finire anche oggi il turno e si torna a casa che è già giorno, ora di pranzo quasi, questa volta è durata più del solito e poi Teresa ha dovuto fermarsi al mercato per un po’ di spesa ma questo non è un problema che tanto al pranzo Juliette ci ha sicuramente già pensato e infatti così è, il piatto è caldo sulla tovaglia, i piccoli sono da poco tornati da scuola, la refezione è pronta e tutto da copione è uguale e ordinario, triste e mediocre. Era solita anche la Juliette nervosa come tutte le volte in cui, coincidenze, aveva la mattina pagato l’affitto, probabilmente la ragazza ha preso dal padre la taccagneria e a cacciar soldi le pesa sempre, e come da copione, quella stessa giornata, per tutto il resto del pomeriggio sembrava anche avercela con Justine che neanche più i capelli le pettinava, forse sarà sempre per il nervoso che le era salito la mattina per aver dovuto pagare. Manco li avesse guadagnati e cacciati lei ‘sti soldi! Meglio allora starle alla larga e non chiederle e parlarle il meno possibile che tanto per stasera, già prima che inizi nuovamente il turno, le sarà sicuramente passato. Cena la preparerà, chiamerà Antonio che sta chiuso nella stanza dal pomeriggio subito dopo pranzo, che bravo ragazzetto anche lui! Mai dato nessun problema! Se ne sta zitto e buono tutto il giorno senza dare rogne o starsene in giro a far guai e baldorie con altri teppistelli coetanei. Poi chiamerà la Nanninela-Justine ed anche lei verrà a tavola che non sembrerà affatto provata dall’improvviso comportamento acido che Juliette le aveva riservato per tutto il giorno, avrà uno sguardo un po’ spento, sicuramente stanchezza, studia tutto il giorno e poi a lei piace e la rilassa farsi pettinare i capelli dalla sorella, sente come un massaggio ed i massaggi si sa che rilassano; dunque, quello sguardo provato sarà sicuramente frutto del troppo studio e poco massaggio! E, mentre i ragazzi consumeranno lenti e silenziosi la cena, si è già fatto tardi e c’è da riaprire le gabbie. Teresa consumerà, invece, in maniera veloce il suo pasto anch’essa in silenzio. Solo il rumore degli indifferenti SUV che sfrecciano giù in strada squarcia il velo nero che vi era a tavola. Teresa sempre in fretta saluterà, è tardi, deve uscire, deve correre, correrà sfrecciando via proprio come quei SUV.

 

 

 

Francesco Santorelli