La foglia e l’olmo

Di fronte casa mia c’è un olmo, alto circa una ventina di metri. E’ prigioniero da tantissimi anni all’interno di un parco privato e il suo carceriere è una palazzina di quattro piani di un verde vomito… orribile allo sguardo. 

 

Quando fuori il tempo lo permette, esco sul balcone per fargli visita. E lui è sempre lì, come un piantone all’ingresso di una caserma, sotto il sole rovente dei mesi estivi o sotto la pioggia incessante delle fredde giornate d’autunno, sempre pronto agli ordini e con la calma di chi è consapevole di essere forte, inespugnabile, inattaccabile. 

 

Passerei tutto il tempo a guardare quelle diverse tonalità di verde che si alternano in maniera piacevole e che sembrano essere dipinte nell’azzurro del cielo (riscaldato al dolce tepore del sole di primavera). Quando sono giù di morale, la sola vista di questo colosso mi restituisce quella serenità e quell’armonia smarriti durante il corso della giornata. E’ un po’ come la fotosintesi: una cascata d’acqua (benessere) che mi attraversa l’anima in cambio delle mie preoccupazioni, delle mie angosce. 

 

I suoi lunghi rami sono come grandi braccia che diventano riparo per rondini e poiane con le loro sgargianti livree. Resto in silenzio davanti a questo spettacolo... chiudo gli occhi. Mi sembra di intravedere un vecchio capitano di vascello, dall’aria sorniona, con la sua giacca blu, bottoni e bordini di passamaneria dorati, barba e grandi baffi grigi che gli circondano il viso, una pipa e mille rughe che gli solcano la fronte. Una vita da raccontare, mille e più manovre per non cadere sotto i colpi incessanti delle violente burrasche.

 

Il fruscio delle foglie agitate da un vento leggero mi parla, mi racconta di storie che non sono in grado di comprendere. E allora mi trasformo in una foglia. Afferro la scia di un filo di vento che mi porta e mi adagia su uno dei rami del gigante. 

E finalmente sento vibrare la sua voce, divento parte dell’olmo, ascolto i suoi racconti, che adesso riesco a comprendere, con quel trasporto che solo un grande affabulatore sa come narrare. 

 

Scritto da Gennaro Zazo                                                                            Vai all'ascolto