Da domani smetto di amarti

“Da domani smetto di amarti”.

Questo, Ottavio lo aveva scritto su di un foglio di carta che aveva attaccato al frigorifero. Era un vecchio Kelvinator, con la maniglia terribilmente appuntita tipica dell’estetica anni settanta. L’aveva trovato nella casa della nonna, morta qualche mese prima. Quel frigorifero gli ricordava le testate che era solito prendere quando era bambino e la dolcezza con cui Nonna Faustina, con la sua figura pingue e materna, gli rammendava i tagli sulla fronte o sul cuoio capelluto. Ricordava anche la vecchia Telefunken bianca, di plastica, con otto canali e un’antenna circolare a farle da cappello.

“Da domani smetto di amarti”.

La scritta era stata fatta con un pastello ad olio, di colore rosso. Le lettere erano ricalcate più volte, con forza, con intensità crescente. Quasi come se Ottavio avesse voluto ferire il foglio su cui aveva scritto quella breve frase programmatica. Lo aveva attaccato con un brandello di nastro biadesivo bianco, trovato nella vecchia dispensa di Nonna Faustina. Era, prevedibilmente, invecchiato come la superficie ingiallita del Kelvinator. La colla si asciugava facilmente e, non di rado, Ottavio trovava il foglio per terra. Facendo attenzione ad evitare una testata sulla maniglia della sua infanzia, lo raccoglieva. Poi, con metodo e inattesa pazienza, tagliava un altro piccolo pezzo di biadesivo e rimetteva al suo posto il cartello. Che bei ricordi quelli d’infanzia, quando non esistevano i problemi dell’età adulta. Quando la paura di non riuscire a smettere di fare una cosa, si riferiva ai cartoni di Bim Bum Bam o alle Girelle mangiate di nascosto sul divano di velluto marrone.

“Da domani smetto di amarti”.

Daniela lo aveva lasciato pochi mesi prima. Aveva aspettato il tempo necessario per vedere morire Nonna Faustina. Partecipare con Ottavio a quel solitario funerale, portarsi via il bimbo e portare tutto a casa di sua mamma.

“Da domani smetto di amarti”.

Forse avrebbe dovuto smettere di fare altro. Certo Ottavio capiva benissimo Daniela. Sotto un certo aspetto non si sentiva neppure di biasimarla. Non era facile stare con lui. Troppo irascibile, troppo impulsivo, troppo istintivo. L’infanzia passata al campetto gli aveva insegnato che tutto si poteva regolare con una bella rissa. Un occhio nero. Magari un taglio al sopracciglio. E poi le cose tornavano magicamente al proprio posto. Ma con le donne questo è difficile farlo, pensava Ottavio.

“Da domani smetto di amarti”.

Quando Daniela gli chiedeva tutte quelle cose, lui che tornava a casa esausto dal lavoro, quando il lavoro ce l’aveva ancora, Ottavio sbuffava. La sentiva parlare. Il bambino che piangeva e tutto quello che avrebbe voluto era di essere di nuovo in quel campetto dove amava giocare a pallone. Dove le contestazioni su un goal giusto o su un fallo cattivo venivano decise a pugni e calci. La legge della strada.

“Da domani smetto di amarti”.

Glielo aveva detto anche il suo avvocato che sarebbe stato opportuno piantarla lì. Ma lui non ce l’aveva fatta. E così, Daniela se n’era andata. Si era stancata di dire che era caduta per le scale a causa di mancamento. Si era stufata di ammettere la propria sbadataggine per coprire quelle violente distrazioni del marito.

“Te lo devo Daniela. Da domani smetto di amarti”.

Ecco perché aveva scritto quel cartello. Perché voleva smettere di amarla. Per farle bene.

“Da domani. Da domani. Da domani”.

La voce di Ottavio lo ripeteva continuamente, in una folle cantilena, mentre le labbra dell’uomo rimanevano sigillate.

 

Ottavio aveva raccolto il cartello per l’ultima volta. Il nastro biadesivo della Nonna era terminato. Aveva preso la decisione di provare a parlare con Daniela per l’ultima volta. Provarla a convincere che il suo amore era folle. Aveva preso, forse inavvertitamente, anche un coltello dal cassetto della cucina. Era quello che Faustina usava per quell'arrosto che le veniva così bene.

“Da domani smetto di amarti”.

Questo avrebbe voluto dire a Daniela, supplicandola di perdonarlo.

E Daniela avrebbe potuto rispondere molto semplicemente.

“Non è amore quello che si dichiara con le nocche arrossate delle mani. Non è amore quello che si urla sulla faccia, per quanto faticosa sia la vita e per quanto la testa faccia male. Non è amore quello che si scioglie in rabbia violenta, così facilmente come un nastro adesivo invecchiato in una dispensa”.

Ottavio l’avrebbe guardata, con sorpresa e lei avrebbe terminato di parlare.

“Non è amore quello che taglia la carne con cattiveria. Non è amore quello che ti porta alla follia. Non è amore. È solo, appunto, follia”.

Ma Daniela non riuscirà a pronunciare mai queste parole. Non le pronuncerà lei lo faranno Eleonora, Francesca, Maria, Giuliana, Sandra. Melania, Isabel, Ines, Fatima, Alessandra. E tutte la altre che ogni giorno cadono sotto i colpi della follia. Non dell’amore.

 

“Da domani, bisogna amare per davvero”.

 

Scritto da Jorma Lagolio