Un uovo sobrio

Racconto nel delirio 

 

E così ci siamo, inizio a raccontarti la tua giornata: come una serie di eventi normali, per te, e assolutamente poco credibili per tutti noi. Ti ricordi come tutto ha avuto inizio? Di certo non con “c'era una volta un bambino che desiderava diventare il principe”. Allacciamoci le scarpe, perché star dietro a te e a tutto quanto.

 

Svegliati! Stai concentrato. Esci dal letto, alzati e lavati la faccia. Sei concentrato? Siediti. Prendi un respiro. Eccoti. Pronto? Come no? Bevi quel caffè.

 

La chiusura della giornata, un momento per svuotare le tasche delle ore accumulate sotto il sole, se ce n’era, è un evento che ricorre, corre e concorre, alla rincorsa della voglia di coricarsi al letto, stanchi. Hai fatto tanto per arrivarci: camminando, marciando, correndo, saltellando, strisciando, rotolando. Da lontano senti il tonfo del sole dietro lo scenario,  come anche le urla della popolazione in preda alle fiamme del calore al di là dell’orizzonte. Finite le fiamme si sentono meno lamenti e più silenzio, perché non sta mai zitto. Glielo chiedi per favore e se ne va, così rimani tu con i tuoi pensieri.

 

A star tranquilli si fa sempre in tempo, tranne quando arriva la notte a consigliarti i nuovi saponi per i piatti, la flotta di pentole zincate da inox, con inox che è arrabbiato per non poter più fare la pasta senza pentola. Il buio con le stelle illuminano la notte, che gioca con i gel e fa effetti speciali per spiegare quanto è elegante la nuova penna in pura oca.

 

Le promozioni della notte ti hanno portato con pensieri dispendiosi di denaro. Avere queste idee con le etichette con scritto il prezzo, ti realizza che hai sbagliato porta la scorsa notte. Vicino all’ingresso della camera è possibile entrare dentro un negozio e alla sua vetrina. Poco prima di chiudere la giornata eri passato in una nuova strada, più comoda, per evitare il traffico, la gente, lo smog. L’aria fresca non l’hai più sentita, neanche come coppia di parole.

 

Ti affacci allo specchio e rifletti i pensieri che coltivi dal giorno prima. Hanno finalmente germogliato e sono quasi pronti per essere raccolti come primizie, freschi di una primavera della scienza, in una mezza stagione. Uno di questi pensieri non è  un vegetale. Uno è un uovo. Un uovo bianco alla base e grigio alla punta, come le ricrescita dopo la tinta.

 

Prendi l'uovo e lo poni sul lavabo, come un piccolo trofeo, luccicante e unico. Nel guardare l'uovo rifletti sullo status di quanto sia inimmaginabile il viaggio di ogni uovo,

 

Ogni giorno un uovo è fresco sullo scaffale del supermercato. L’uovo è stato scelto con cura, portato con un carrello in luoghi inimmaginabili per l'intelligenza della gallina. Uno di questi luoghi è anche la tua faccia, mentre partecipi come intermezzo comico o per sbaglio incroci la traiettoria di un lancio di uova. Tu sei la tua faccia o l'uovo?

 

Non riesci a rispondere e nel farlo cerchi una soluzione plausibile, o per lo meno un aiuto dal pubblico. Il conduttore ti ricorda che hai il 50:50 o la chiamata a casa. Prendi il telefono e senti…

-Ma chi è?-

“Senti Frè, qua c’è una domanda.”

-Ma come ti permetti.-                                      

“Frè, dammi una mano”

-E anche il braccio e la spalla.-

“Ma no dai, per favore aiutami”

-ah, lo ricordi dopo. prima la richiesta e poi dopo, se chiesto, la cortesia.-

<Ci calmiamo per cortesia. Siamo in diretta.>

“Scusa Frè, faccia o uovo?”

<Mancano ancora pochi secondi>

“Che faccio Frè?”

Il telefono perde la linea, perché mangia sempre pesante a pranzo. Non puoi avere l’aiuto che speravi e devi trovare una risposta. Il conduttore esce dalla stanza e torna la luce come ogni giorno.

 

Ora racconta tu come è andata appena sei uscito di casa.

 

Continuo, certo. Ecco… ecco… ah, sì, ora ricordo. Sembra passato un secolo.

“Guarda che era quest'oggi”,mi correggi.

 

Le scale del condominio erano ripide, corte e profonde, quasi una scala a pioli. Inforcai un piede dietro l’altro per trovare la direzione verso il portone. Da lontano i passi risuonano come spari, una guerra contro il tempo, contro il vivere fermo, alla rincorsa della vita. Non c'era coprifuoco, bisognava prendere una decisione e incontrare il resto del mondo alla fine di quella scala, dietro quel portone in legno verde, dal profumo di acrilico e dai pomi di ottone.

 

Girai la maniglia e dopo qualche rumore la porta si liberò. Pieno di entusiasmo senza freni spalancai e d'un tratto trovai la strada davanti casa, il marciapiede compagno delle sventure notturne, qualche persona a camminare nella via e il giorno a irradiarmi col sole.

 

“Ehi, come va?”

-Buongiorno, nella media ma aspetto di passare alla pinta.-

“Per me un analcolico. Che devo guidare dopo.”

-Per me, mi faccia un cappuccino corto con latte di soia in tazza di vetro grande ghiacciata su piattino riscaldato ma non troppo e due zollette di zucchero di canna.-

 

Mi accorsi di essere arrivato al bar dall’altra parte della strada: un luogo caloroso, un abbraccio per gli addormentati, una sberla per i postumi delle serate, una sveglia per la pancia affamata. Presi il solito caffè espresso in tazza quella che capita su piattino di normalità e zucchero in bustine a parte. Diciamo qualcosa di meglio di quello che sto bevendo adesso, ormai semifreddo perché l’abbiocco mi prende ogni due minuti.

 

Un sorso… “Allora che ne è stato di ieri sera?”

Al bar mi ritrovai con uno dei colleghi che era presente all’aperitivo. Uno di quelli con scritto in faccia “Random persona” senza un particolare spessore, capello corto, barba hipster curata, camicia azzurra sotto completo navy e scarpa nero lucido. Di questi ne vidi pieni gli uffici, gli autobus e qualche aereo. Poi ad un certo punto non ero lì, in quel bar con quella persona, forse la folla al bancone mi ha spinto all'uscita verso il marciapiede, da lì a un tram che si fermò alla coincidenza della metropolitana. Quest’ultima arrivò in un posto del mondo non interpretabile per posizione, sicuramente non era la città, non la campagna, neanche la montagna. Vagamente era un giorno, un luogo senza tempo, forse una zona archeologica del periodo contemporaneo; effettivamente era sì oggi, ma con secoli passati sopra come una mietitrebbia prima e uno schiacciasassi dopo, come forse è successo per gli edifici dell’antica Roma imperiale.

 

Una figura da lontano piano piano si avvicinò a me, non riuscendo a distinguerla completamente dalla nebbia che mi avvolgeva. Veniva proprio per me, come se fossi un conoscente noto.

 

“Ciao, come va?”

-Bene, e tu?-

 

Questo stallo nella discussione era per non sbilanciarsi nel chiedere il nome, per non dare adito di maleducazione.

 

In quel momento un’idea della situazione l’avevo concepita.

 

“Non ci voglio pensare”

-Se lo dici, potrebbe accadere.-

“Non…”

-Convinciti che potrebbe-

 

La sensazione di avere una certezza, poco più che la necessità del respiro, si era appena infranta. Non era la mia testa a dirlo, ma qualcun altro.

Tutto intorno era prevalentemente fermo, sordo e assordante nel silenzio, innaturale rispetto a non molto tempo prima. La precedente vita era frenetica, veloce, sintetica, naturalmente umana nel susseguirsi di incontri, persone e ambienti diversi. In quel momento era un tono su tono: quella che si poteva chiamare ciclo del giorno era una notte su una penombra per tornare alla notte.

 

“Dimmi cosa può succedere.. "

- Ora non lo so. -

" Non ora.. "

- Quando? -

"Tra poco."

- Ce ne andiamo via di qua.-

 

Era successo di nuovo, ma cercammo di affrontarlo come la prima volta; e come quella abbiamo fatto la medesima scelta, anche se con parole diverse.

 

“Ma hai pensato qualche possibilità?"

- No, ho ripensato a cosa pensai la volta scorsa. -

" Ma era stata una buona scelta?"

- Non credo. -

" Ma allora perché l’abbiamo fatto di nuovo?"

- Non ho avuto la volontà di cambiare.."

 

Dopo queste parole una leggera brezza aprì vagamente la vista da tutta quella nebbia. Una momentanea chiarezza permise di distinguere la persona come il collega “Random Persona” del bar, che stranamente era venuto a cercarmi o mi aveva seguito o perfino spinto. Il dubbio del perché proprio quella persona rispetto a tante altre mi ha perseguitato fino a poco fa.

 

Ci dirigemmo da quello che sembrava una pineta verso una sorta di spiaggia, un luogo lugubre rimasuglio forse di uno stabilimento balneare di massa: come un vigneto rimanevano gli ombrelloni, baobab le palme e lapidi le sdraio e le sedie. Raggiunto questa sorta di cimitero delle vacanze estive, terminando il percorso sulle sabbiose terre al limite della palude, o quello che una volta era un bagnasciuga, del Lido ci accolse la madre, noi figli, la nebbia densa e scura, quasi solida.

 

I polmoni iniziarono a dover dividere aria da acqua, per permetterci di continuare a respirare.

 

Non molto lontano dal percorso che il mio corpo seguiva a memoria, era presente una barca bianca a remi. All’interno una persona che mi fissava probabilmente da diversi minuti, lo sguardo si stava aggrottando come un gufo impagliato. Un volto così sembrava caricarsi di rabbia ogni passo fino al momento cruciale.

 

“Gonzo!”

- Chi sei? -

“Cosa hai ricevuto? Un colpo in testa?”

 - Niente del genere. -

” Hai portato il nemico.”

 

Secondo quella voce avevo tradito qualcosa portando con me qualcuno. Avrei voluto dire che ero stato seguito stato seguito, cosa di cui piano piano ne avevo fatto una certezza. Avrei voluto capire come mai il mio corpo seguisse a memoria il percorso fino a quella barca. Niente di tutto questo uscì dalla mia bocca come una domanda. Non so neanche immaginare la mia faccia carica di questi dubbi e neanche una sillaba pronunciata. So solo che la velocità di attaccare quel bottone del discorso, non è stata dalla mia parte.

 

“Torna da dove sei venuto!

- No! -

“Non hai compiuto la tua missione. “

- Di che cosa parli? -

 “Devi essere stato manipolato”

 

Quelle parole mi spinsero via da quella spiaggia, in una folla di una metropolitana che fece cambio con un tram, fino alla fermata di un marciapiede affollato che faceva da corona a un locale da apericena. E così arriviamo a qualche momento fa.

 

“Ma in tutto questo perché sei voluto tornare da lui?”

-Lui chi?-

“Non avrai mai il tempo per starci più di oggi, in questa giornata. Ti roderà per le prossime ore.”

-Ma tu sai come tornarci?-

“No, è per quello che ti accompagno.”

-Mi accompagni?-

“Non ti ci porto, perché non so la strada.”

 

Una strada, come quella in cui mi ero ritrovato, non era l’unica parte che non era stata chiarita nella giornata. Un dubbio che rimane anche ora che mi hai aiutato a ripensare a tutto.

 

Da quel momento iniziai a prendere il telefono… un respiro breve… aprire la rubrica.. un respiro lungo… cercare il tuo numero… un altro respiro lungo… premere il tasto di chiamata.

 

“Mi raggiungi? Sono al solito bar vicino casa.”

 

-Arrivo. Sono su un tram affollato.-

 

Scritto da Matteo Sgherri                                                                Vai all'ascolto