Quell'appuntamento che non ci siamo mai dati

Un sabato di agosto. La gente arriva in spiaggia alla spicciolata. Gli ombrelloni si popolano. Voci di donne che chiacchierano. «Hai presente Nicola Scoccimarro? Il negozio all'angolo di via Mario Pagano? È il cugino di mio marito…». «Le melanzane le faccio friggere, poi ci metto una salsa di pomodoro fresco …». «Per me, la pasta al forno con le polpette resta sempre la cosa migliore. È inutile …». «Mio figlio sta a Roma. Ingegneria areospaziale o aereospaziale. Boh, si dice così? Non si capisce che vanno trovando, sti giuvn. E a te?». «Marina sta al Liceo classico, Domenico deve fare la quinta elementare. La ragazza mi ha preso la media dell’otto. Tutti voti buoni. Il professore giovane di filosofia. Le ha messo sette. Cudd strunz. Aveva studiato! Mi ha detto: “Non conosce bene il pensiero di Kant. Eh, signora, la Critica della Ragion pura … doveva essere più precisa …” È venuta all’interrogazione? Ha risposto? Che cazzo vai trovando? Io l’ho sentita. Mi ha detto tutta la lezione la sera prima …». «Mio figlio di due anni non dorme per niente. Sta sempre a correre, dalla mattina alla sera. Io e mio marito non abbiamo più forze». «Non lo dire a me. Mi ha tolto tutte le energie. Sempre a saltare …» I volti si confondono sulla battigia. I bimbi scorrazzano dal mare alla sabbia. Genitori all’inseguimento. Si gioca a costruire castelli o a scavare buche.

Ho deciso di incontrarti. Lo faccio ormai tutti i giorni. Sempre nello stesso punto. Arrivo nel tratto davanti ai frangiflutti. C’è tanta gente a riva o qualche metro più avanti, ma pochi si spingono fin lì. Ti troverò anche oggi. Mi infilo tra comitive di ragazzi che giocano a pallavolo, punto alla mia destra.

 

Mi muovo in diagonale. È difficile camminare in acqua: sposto pezzi di mare. Si attacca alle caviglie. Sento picchiettare la musica sulla mia schiena. “Uno, dos, tres, un dos tres”. Mi distraggo, ma proseguo. Acqua alle ginocchia. Le gambe faticano. I movimenti sono sempre più ampi. “Todos para abajo, todos para arriba, bien agarraditos, manito con manito, dando un golpesito, sisisi!”. I muscoli dei polpacci si contraggono. Sembra acido lattico. È il momento di sfidare l’escursione termica. Mi allungo in acqua. Freddo sulla pancia e sul petto. Via! Stile libero. Uno, due, tre, quattro … tredici, quattordici e quindici. Rialzo la testa. In apnea ho provato a fare venti bracciate. Sarà per la prossima volta. Mi volto supino. Chissà, col dorso andrà meglio. “Mueve la colita mamita rica, mueve la colita…” Un paio d’anni di corsi sono stati utili per imparare elementi base del dorso, della rana e del delfino. Lamberti, Rosolino, Phelps? Macché, l’agonismo non mi interessa. Bracciate lente e scoordinate. Rischio qualche pallonata. “E sono un arrogante e non mi importa se non sei più dalla mia parte, non è importante”. La musica mi accarezza l’orecchio con il vento. Guardo a destra con la coda dell’occhio. Gli ombrelloni bianchi e blu assomigliano a stecchini infilzati in un cocktail di sabbia. Le sdraio e i lettini si vedono a malapena. Due stabilimenti balneari al confine: la fila di ombrelloni bianchi e blu confina con una serie di gazebo e altri bianchi e rossi. Nascosta una caletta, per i più temerari. Ci sono scogli e c’è solo una piccola scala per arrivarci. Davanti a me due scogliere, una di fronte all’altra, sembrano affrontarsi. Alcune persone nuotano. Parlano della festa in spiaggia della sera precedente. Si lamentano. Gli strascinati col sugo scotti. Salsiccie con il sangue grondante. Troppa gente e cattiva organizzazione. Dibattito sulla musica anni ‘80. «George Michael, irraggiungibile!». «Ma che stai a dire? Hai sentito ‘Eye in the sky’? Non capisci niend di musica». «Ditemi quello che volete, ma io preferisco la musica di oggi. I giornalisti e Benji e Fede sono mitici…». Tre amici, mentre gareggiano, riferiscono di un bagnante morto per un malore proprio in quel punto. Ha perso i sensi e i bagnini non hanno fatto in tempo a soccorrerlo. Un paio di ragazzi si attorcigliano con la maschera vicino agli scogli. Stanno cercando qualche riccio di mare o fanno un giro sott'acqua con la maschera. Il mare non è profondo e neanche limpido. In superficie, si vede una leggera patina di benzina. L’odore di spaghettata con ricci con un po’ di acidume mi infastidisce. Una zaffata di liquami mi chiude il naso. “Uno stronzo in mare!”, grida qualcuno. Ma in questo momento ho altri pensieri. Il mio corpo affonda nell'acqua, solo la testa resta fuori. Respiro a fatica. Alle mie spalle, due ragazzi, sui diciott'anni, vicini ai frangiflutti. Si guardano. Qualche secondo di attesa. Scatta il bacio. Si fondono con le labbra. Le loro forme si attaccano in un abbraccio. Li guardo e ricordo i primi anni con Giulia. Le effusioni sul tratto di costa davanti alla Cattedrale. Appoggiati ai blocchi di pietra per dare forza alla passione. Il rosso del tramonto. Un sole gigantesco salutava e si andava a nascondere vicino al profilo del Gargano. Una fabbrica abbandonata, il Castello svevo. Promesse d’amore. Eterno. Come le parole lanciate nel mare. Il duomo, testimone di quella promessa. Ho individuato un punto in mezzo al mare tra le due barriere di scogli. Esco a pelo d’acqua. Mi metto al vertice di un triangolo. Sono solo in una piccola oasi. “A chi mi dice, che tornerai, non credo oramai …” – quasi non si sente. Sei davanti a me. Ti guardo. Una ragazzina di sedici anni. I capelli neri cadono sulle spalle, gli occhi scuri profondi. Il contrasto con la carnagione chiara crea un mistero, che si svela in un corpo agile e longilineo. “But Darling, just kiss me slow, your heart is all I own and in your eyes you’re holding mine …” L’acqua lascia intravedere un seno giovane. Cresce con una promessa di femminilità adulta. Il tuo sorriso è accennato, senza troppi fronzoli o sbavature. Sento la voce di Bocelli. “Mi baci piano ed io torno ad esistere …”. Vorrei chiederti cosa stai facendo. Se al Liceo è tutto a posto, hai scelto tu e io ho avuto il timore di un ripensamento. Mi piacerebbe sapere se ti appassionano le lettere e la filosofia o le scienze e la matematica ti hanno iniziata a un sapere mal coltivato da me. Se i tuoi voti ti consentiranno di vincere la borsa di studio e partire per Parigi. Mi interessano i tuoi sogni. Fingo di non ascoltarti. Sono tuo padre, ricordi? Si fa così. Hai un fidanzato? Non l’ho mai visto. Sei stata brava a fregarmi. Ti sarai nascosta, approfittando di quell'edificio accanto al Bar Nando, che non mi permette di vedere tutti i dettagli fino in fondo alla strada, quando torno dal lavoro. Tua madre sa tutto, ne sono certo. Vedo lacrime. Una barriera ci separa. Sono sempre stato concentrato su me stesso, sui miei pensieri. Non riuscivo a sentire il mondo, parole e stati d’animo attorno a me. Una nebbia copriva le persone. Ora sì. C’è silenzio. Riesco ad ascoltarti. Balliamo? Non ridere. Lo so, sono goffo. “… per tutto quanto il tempo, in questo addio, io mi innamorerò di te”. Giro la testa a sinistra. Un gabbiano. Vola da un frangiflutti all'altro. Lo seguo fino a voltarmi indietro. Si ferma. Si guarda attorno. Sembra fissarmi. Rigiro la testa verso destra. Non ci sei più. Ogni giorno mi fai un regalo. Una conchiglia con un granchio nascosto. Tenta di uscire e io lo risospingo nel guscio con l’indice. Qualche giorno fa, una donna sul materassino avanzava verso di me e mi ha guardato fisso negli occhi per dieci secondi. Mi stendo a pancia in su. Faccio il “morto”. La luce del sole penetra sul mio viso e poi scende sul resto del corpo. Sento una pressione della luce e del calore. Gli occhi sono umidi. Sarà l’acqua del mare. O forse no. 

 

Scritto da Michele Casiero