Per chi non se lo ricordasse, MacGyver era il personaggio
dell’omonima serie tv che, a metà degli anni ottanta, è riuscito a
ispirare centinaia di migliaia di spettatori a trovare soluzioni ingegnose
e alternative per risolvere qualsiasi problema. Solitamente il
protagonista capitava immancabilmente in situazioni di estremo
pericolo e con pochissimi oggetti trovava la sua via di fuga. Realizzare
un congegno esplosivo con un fermacapelli, uno specchietto
ed un foglio di carta con MacGyver era un gioco da ragazzi, adesso
con nonnamoderna_91 sarebbe un insuccesso clamoroso. Ai tempi
odierni per provare le stesse dinamiche, hanno inventato le “escape
room”; stanze nelle quali si viene rinchiusi da soli o in gruppo e
dalle quali si esce risolvendo degli indovinelli. Il tutto avviene a pagamento.
A titolo informativo, per chi fosse interessato metto a disposizione
la mia cantina a gratis, parola che a Genova ha un suono
idilliaco.
I poteri macgyveriani risultano talvolta indeboliti dalla sfiga
più incallita anche se le probabilità di successo rimangono alte. Ne
è testimone un episodio avvenuto solo qualche giorno fa.
Giornata di sole offuscato che faceva già presagire un cambio
repentino degli avvenimenti che avrebbero avuto luogo. Rientro
a casa come ogni venerdì alle due del pomeriggio stanca ma felice
della settimana lavorativa appena passata. Agogno il meritato
riposo quando, tentando di aprire la porta del mio appartamento,
questa di blocca lasciando uno spiraglio che permette di capire che
la causa scatenante del fenomeno è il fermo alla porta inserito
dall’interno e l’effetto consiste in un calcione alla porta con annesso
urlo di dolore. Con il piede dolorante cerco di riflettere in ma-
niera lucida e pacata. Eureka! Ricordo di avere dei cacciavite nella
borsetta. Si, avete capito bene. Nella fretta del trasloco li avevo
messi nel primo posto disponibile e lì erano rimasti. Provo a far
leva con la paura di essere scambiata per una ladra dai nuovi vicini.
Riesco a piegare ben tre cacciavite, con il quarto lascio cadere ogni
speranza. Nel garage non ho la cassetta degli attrezzi quindi devo
gettare la spugna. Chiamo il fabbro. Ho solo il quattro per cento di
batteria ma tento la sorte. Lascio tutte le informazioni richieste
tranne il recapito telefonico che sto per comunicare quando lo
schermo diventa nero. Caput.
Capito perché odio la tecnologia? Eureka! Dovrei avere
un’ora di tempo prima che arrivi il fabbro quindi corro all’unico
negozio aperto della zona, un commerciante cinese che vende articoli
per la casa. Compro il caricabatterie e trionfante torno alla
base. Grondante di sudore collego il caricabatterie all’unica presa a
disposizione in garage quel tanto che basta per resuscitare il cadavere.
Esco dal bunker sotterraneo per telefonare e scopro che la richiesta
di intervento non era stata presa in carico. La pazienza si
trova in bilico sul burrone dell’iracondia ma, per fortuna, fa un
passo indietro. Prendo un nuovo appuntamento e riesco a terminare
la telefonata, questa volta, senza intoppi. Per evitare altri scherzetti,
raggiungo nuovamente il box per caricare l’oggetto infernale.
Niente da fare. Il nuovo acquisto ha già cessato di funzionare. Vorrei
invocare qualche divinità quando… eureka! La borsa con i compiti
dei ragazzi ed il computer portatile si trova in macchina quindi
tento un secondo approccio alla tecnologia. Sperando che la fortuna
e l’ingegno mi assistano, provo a verificare che il cavo estraibile
dal caricabatterie sia funzionante. Miracolosamente il telefono ac-
quista energia. Evvai! Tutto è in discesa e sento già “We are the
champions” dei Queen nella testa.
Approda il tecnico come un Sandokan polacco pronto a salvarmi.
“Dove parcheggio? Non c’è posto.” Mi urla l’uomo dalla
strada. Eureka! (sinceramente sono stufa di tanta genialità)
Lo faccio parcheggiare nel box anche se, data l’incompatibilità
tra le misure del veicolo e del locale, sono costretta a tenere la
serranda aperta.
Ce l’ho fatta! Quasi. Nell’enfasi di gioia riesco a dimenticare
il mazzo comprensivo di chiavi di casa attaccato alla porta. Costringo
il poveretto a rifare tutte le manovre da capo. Dopo tre ore e diciotto
minuti mi riapproprio di casa.
MacGyver come la mettiamo?
Al ricordo provo la stessa tensione e finale soddisfazione costata
tre bypass e duecento euro di fattura.
Scritto da Giulia D' Antona e tratto dal suo libro "Pensieri sciolti. Il blog cartaceo"