L'ultimo desiderio


 

- Signor Puccini ha degli ultimi desideri prima dell'intervento? -

Mi chiese un medico in sala d'attesa con un accento fastidiosamente belga.

- Ultimi desideri? Sarà veramente così pericoloso? -

- E’ lei che si è rivolto alla clinica, conoscendo i rischi di questo metodo sperimentale, signore -.

- Ma certo, può attendermi di là? Provvederò da solo al mio possibile ultimo desiderio. Grazie -.

L'uomo con il camice si girò, lasciando Giacomo Puccini tutto solo. La sua vita stava per finire, molto probabilmente. Aveva avuto il suo successo, le sue sconfitte e le sue pazzie. Ognuna di queste gli era rimasta sulla pelle come la volta in cui le aveva vissute.

La testa di Giacomo cominciò a frullare i suoi desideri, dai più intensi ai più profondi.

- Ma certo! - Aveva trovato il suo desiderio.

- Voglio rivivere la mia vita dall'inizio per una seconda volta - Lo annunciò a se stesso, come se la svolta sarebbe potuta accadere da un momento all'altro.

 

Nello stesso modo in cui i bambini credono alla magia, Puccini chiuse gli occhi pieno di speranza e li riaprì solo quando sentì una voce abbastanza vicina alla sua figura. Il problema, pensò, è che quella era una voce sconosciuta, non si trattava di una voce familiare, come si sarebbe aspettato per rivivere la sua vita.

Era ancora confuso, ma non gli sembrava di trovarsi in nessun luogo di sua conoscenza. O forse... una grande aula universitaria gli si mostrava davanti. Era tornato al conservatorio di Milano, il suo periodo da studente, dunque. Eppure ancora qualcosa non quadrava. La tela del suo desiderio sembrava essere troppo perfetta, avrebbe dovuto esserci un intoppo per essere veritiera.

 

- Buongiorno. Oggi ricorderemo il centenario della morte di uno dei più grandi musicisti e compositori di tutti i tempi, avvenuta questo stesso giorno 29 novembre 1924. Immagino che se siete presenti qui conoscerete il compositore e questa è una buona occasione per ripercorrerne la sua vita.-

Oh, no, non era quello il vero scopo del suo desiderio! Anche se soddisfava comunque il suo requisito. Aveva viaggiato nel futuro, era finito nel 2024, un secolo dopo il giorno in cui era partito e c'era un uomo in fondo che stava parlando di lui.

Fu inevitabile per Puccini ritrovarsi a sorridere pensando alla sua fama che era evidentemente proseguita nel tempo.

- Meglio mettersi comodi, signori, mi sentirete di tutti i colori.

Giacomo Puccini nasce a Lucca il 22 dicembre 1858. La sua famiglia paterna, era sempre appartenuta al mondo della musica come maestri di Cappella del Duomo di Lucca. Quando morì il padre, il giovane Puccini fu mandato a studiare dallo zio materno, che lo reputava senza talento.-

- Soltanto senza talento? Ma è un insulto la mia memoria! Mi riteneva un disgraziato senza disciplina quel terribile!-

Si fermò, notando di essere guardato in malo modo da alcuni studenti vicini.

- Grazie a un vecchio allievo del padre fu ammesso in delle vere e proprie scuole a Lucca dove però non era di certo eccellente. Solo con un insegnante dell'Istituto musicale venne fuori il talento e fu mandato a suonare in città per contribuire all’economia familiare.-

-Si sta scordando una cosa molto significativa di quel periodo...- Sussurrò il compositore tra sé e sé, nascosto in un angolo. Vide il professore controllare degli appunti, ma continuare per la sua strada.

- Mi scusi - Urlò per attirare l'attenzione dell'insegnante che lo fulminò con lo sguardo. - Si è scordato una cosa importante.-

Fu in quel momento che l'espressione dell'insegnante mutò divenendo acida e crudele.

-Vuole venire lei a fare lezione quest'oggi?- Domandò ironicamente e alla risposta affermativa di Puccini l'atteggiamento del professore lasciava intendere che aveva appena rotto la lastra di ghiaccio su cui teneva la sua pazienza.

 

Il compositore scese così che tutti i presenti, anche nelle prime file, potessero metterlo a fuoco. Faccio ovale, paffuto, capelli a spazzola e baffi scuri. Sulla maggior parte dei visi si formò dello sgomento osservando la somiglianza al personaggio del loro libro.

Giacomo si sedette con noncuranza ignorando deliberatamente le occhiate ardenti di chi teneva la lezione.

-In quel periodo mi portarono a vedere la Ida di Giuseppe Verdi, 1876. Fu lì che sviluppai i miei interessi sull'opera.-

Anche il professore, però, decise di ignorarlo invece di inveire contro l'uomo che aveva vicino. Continuò con la sua spiegazione.

- Da quel momento possiamo trovare le prime opere da lui firmate. Puccini fu ammesso a questo stesso conservatorio e studiò qui per circa quattro anni.-

 

Oh, come se lo ricordava bene il conservatorio! E le pene che la sua povera madre aveva dovuto sopportare per farlo ammettere lo facevano sentire ancora un po' in colpa. Ma lì era cominciata tutta la sua carriera con la prima minore opera pubblicata al successo internazionale. Era in quella scuola che si era innamorato della metodologia wagneriana e poco dopo anche di sua moglie Elvira Bonturi. Lei aveva rinunciato a suo marito per Giacomo Puccini, aveva sopportato gli scandali e tutti i loro contrasti di carattere per amore. Si erano trasferiti a Monza, avuto un figlio, cresciuto con la sorellastra di altro padre è vissuto insieme il successo maggiore della carriera del musicista. Elvira era la donna che lo faceva sentire vivo, che faceva crescere in lui la stessa dolcezza di quando componeva o ascoltava una nuova opera, il suo primo vero, grande amore e, nonostante il rapporto non fosse rose e fiori, non si erano mai abbandonati a vicenda ed erano finiti per sposarsi dopo anni nel nel 1904.

 

Giacomo, dopo il ricordo, si osservò intorno. Non aveva pensato che fosse stato quello il suo ultimo addio al mondo che lo circondava. Eppure era inevitabile sentirsi appagato di fronte a tante persone che lo conoscevano apprezzavano e studiavano, anche se fosse morto da tempo, i suoi esordi erano stati un disastro e a suo tempo la critica si era accanita contro di lui.

Se però Puccini aveva sempre scritto per il pubblico un motivo c'era. Voleva fare emozionare le persone in sala e proiettarle dentro la sua immaginazione, dentro i luoghi che aveva costruito, le melodie e i testi dell'opera. Si ripeteva sempre di essere nato per le parole, per il tempo delle sue composizioni e aveva capito che c'era ben riuscito, ad osservare il risultato di cento anni più tutta una vita.

 

Il professore continuava ancora a spiegare la sua storia con un persistente rossore di rabbia sul viso, del suo accordo con l'editore Casa Ricordi, responsabile di aver messo in scena tutte le sue opere, le Villi, per prima, dei suoi maestri, facendo nota di Amilcare Ponchielli, che gli era molto a cuore, dei suoi amici come Pietro Mascagni, delle sue influenze artistiche, tipo la Francia, Richard Wagner, il Verismo e quella dannunziana.

- Quando riprese il successo, tornò alla sua indole tranquilla e di campagna acquistando una villa a Torre del Lago dove compose la maggior parte delle sue più famose opere.

 

Il professore fu interrotto da colui che gli sembrava rappresentare solo uno scherzo. Era impossibile che ci fosse Giacomo Puccini davanti a lui, in carne ed ossa.

-Il mio più autentico successo fu la terza opera Manon Lescaut, travagliata, ma anche la più produttiva. Prego...- Puccini mosse la mano facendo segno all'insegnante di proseguire mentre gli ascoltatori prendevano appunti. Sicuramente un gesto che non suscitò poca stizza nell'altro.

Il compositore si ricordò dei suoi compagni librettisti, Luigi Illica e Giuseppe Giacosa, che lo avevano accompagnato nei successi da lui firmati: prima La Bohème, un capolavoro drammaturgico amato dal pubblico, poi La Tosca un dramma storico dallo stesso destino in sala dell'opera precedente.

-Durante la stesura della sua ultima e celebre opera Madame Butterfly ebbe un incidente con una delle sue amate auto, il 25 febbraio 1903 e tutto andò in blocco fino all'esordio in teatro, che fu un vero fiasco, anche se oggi è conosciuta come uno dei migliori successi di repertorio a seguito di alcune modifiche sulle messe in scena successive.-

Puccini rimembrò le sue sensazioni alla prima nella Scala di Milano di Madame Butterfly. Il pubblico ne era deluso e si era comportato in modo davvero maleducato. Non solo lui stesso ritenne che fosse perché la critica musicale aveva instaurato un vero e proprio clima di intolleranza verso la sua persona artistica troppo internazionale e commerciale.

Per fortuna la fama del compositore si era ristabilita dopo il suo successo a Brescia.

Del 1906, ne ricordò la crisi data dalla morte del librettista Giacosa, poi fece nota della sua rappresentazione a New York dove prese ispirazione per l'opera seguente che avrebbe scritto, La Fanciulla del West, anch'essa molto apprezzata dal pubblico americano, ma meno dalla critica.

La sua curiosa produzione seguente, sempre messa in scena a New York, riscosse successo. L 'aveva chiamata Il Trittico per la sua divisione tre diverse storie in una sera.

 

Prima che Giacomo Puccini se ne fosse accorto gli arrivò una diretta domanda tagliente.

- Ma lei che ha rovinato la mia lezione mi spiega chi è? -

- Sta parlando con Giacomo Puccini in persona l’ operista di cui ha parlato per ore. -

Fu così divertente vedere la bocca dell'anziano insegnante inveirsi che Puccini non si riuscì a trattenere dalle risate, richiudendo gli occhi.

 

Nel suo viaggio verso il futuro non si era focalizzato sui cambiamenti generali, che aveva veduto osservare. Aveva scoperto che si parlava ancora di lui. Questo gli sarebbe bastato a non pensare alla morte che lo avrebbe afflitto di lì a poco ritrovandosi appisolato nella clinica di Bruxelles a seguito di quel lieto fine.

 

scritto da Margherita Luzi