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Premesso che quello che fa ridere una persona possa lasciare indifferente un’altra, ritengo che l’umorismo, l’ironia e la comicità non siano materia semplice.
Un’altra premessa è doverosa: io non sono una scrittrice e tanto meno una comica ma semplicemente un’appassionata di scrittura e di teatro che osa sperimentare.
Fatte queste premesse, penso che si debba distinguere la comicità pura, dall'ironia e dall'umorismo.
La comicità è tutto ciò che muove la nostra grassa risata, il paradossale, il goffo.
Di solito nella comicità pura non c’è alcuna compassione o identificazione coll'oggetto su cui ricade la nostra risata. Maestri in questo tipo di comicità sono Stanlio e Ollio, Totò.
La comicità vuole prendersi semplicemente beffa di un tema, di una situazione, di un personaggio. L’etimologia stessa della parola ci riporta alle origini teatrali laddove la Commedia era l’opposto della Tragedia e si prendeva burla, anche in maniera pesante, della politica e della società.
Il linguaggio comico deve essere molto diretto, semplice; non ci devono essere tanti sottintesi ma deve essere il più realistico e colloquiale possibile, non deve essere troppo “intellettuale”. E’ il linguaggio della barzelletta, della battuta nuda e cruda, quella che capiscono tutti, per intenderci.
Semplice e diretto non significano semplicistico e banale perché, a mio avviso, anche la comicità cosiddetta “demenziale” deve avere un suo spessore e dietro ci devono essere una profonda conoscenza dell’uomo e una grande cultura.
Bisogna saper prendere le distanze dalla realtà per poterne ridere ma per prendere veramente le distanze dalla realtà bisogna comprenderla profondamente, passarci attraverso e superarla. Oserei dire che per essere dei grandi comici bisogna avere il senso del tragico dell’esistenza che è l’altra faccia della medaglia.
Questo stesso atteggiamento vale per l’ironia la cui intenzione, a differenza della comicità, è di affermare quello che nega. Per intenderci, con l’ironia faccio un’affermazione ma in realtà la mia vera intenzione è di affermare il contrario. Di conseguenza il linguaggio che userò non sarà così diretto e semplice come nella comicità.
L’ironia prevede da parte del lettore e dello spettatore un ragionamento, una riflessione e poi arrivano la risata o il sorriso, che spesso è un sorriso amaro.
Infine c’è l’umorismo che, come linguaggio, e più simile all'ironia ma, a differenza di questa, è sempre bonario e spesso in esso c’è una forma d’identificazione con l’oggetto che suscita il riso o il sorriso.
L’autoironia è una forma di umorismo e se non si è almeno un po’ auto ironici, difficilmente saremo capaci di fare dell’umorismo.
A livello di scrittura tutte e tre le forme, a mio avviso, hanno in comune una scrittura “asciutta”, concisa. Le frasi e le parole che si usano devono creare immagini chiare, plastiche, concrete, in molti casi suggerire odori e suoni.
Si può parlare di sintesi, di un linguaggio capace di evocare emozioni, quasi più simile al linguaggio poetico che alla prosa.
Questo accade anche per il linguaggio teatrale e sarà per questo che io, appassionata di teatro, amo tanto la scrittura umoristica!
Cristina Dal Farra.
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Adelita (martedì, 08 ottobre 2019 22:09)
Molto interessante,complimenti ! Adelita Tasso